Categoria: Archivio News
“Lapis specularis, il vetro di pietra”: è ora anche un film.
Il lapis specularis è un gesso secondario, a grandi cristalli trasparenti, facilmente suddivisibile in lastre piane dello spessore desiderato quando viene tagliato lungo il piano di sfaldatura. Deve il suo nome al fatto che, a partire dall’età romana, è stato utilizzato come elemento trasparente per le finestre. Le attività estrattive del gesso speculare in epoca romana, condotte sia all’interno di grotte profondamente modificate dallo scavo sia con la realizzazione di vere e proprie cavità artificiali, sono state analizzate in un recente convegno tenutosi a Faenza (26-27 settembre 2013) e oggetto di una mostra a Zattaglia (Brisighella, 27 settembre 2013 – 15 gennaio 2014).
Abbiamo realizzato il filmato intitolato “Lapis specularis, la luminosa trasparenza del gesso“ con l’intento di documentare tale particolare aspetto dell’utilizzo del gesso, narrando un materiale, un luogo (la Grotta della Lucerna), un ambiente carsico (quello dei Gessi) e le genti che vi hanno vissuto, ponendo come tema centrale del racconto la frequentazione umana delle cavità oggetto di estrazione e giocando sul continuo confronto fra gli antichi cavatori romani e il moderno speleologo.
Il DVD, realizzato dal GSB-USB e dallo Speleo GAM Mezzano col finanziamento della Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia Romagna, ha ricevuto una menzione speciale allo Hells Bells Speleo Award 2014 ed è arricchito da ulteriori contenuti: foto panoramiche della Grotta della Lucerna (il principale sito estrattivo), un breve filmato girato nel momento della sua scoperta e una più dettagliata spiegazione delle cavità ad oggi note in cui sono visibili le tracce di estrazione del lapis specularis.
È possibile ricevere il DVD versando un contributo di 6,00 Euro per le spese di confezionamento e spedizione sul c.c. intestato all’Unione Speleologica Bolognese c/o UNICREDIT BANCA S.p.A. Filiale di Bologna Piazza Aldrovandi Cod IBAN: IT02G0200802457000002749208 inviando una mail con le generalità, l’indirizzo del destinatario e l’attestazione del versamento a d.demaria@tin.it.
Gli utilizzi del lapis specularis
Diversi scrittori antichi ci raccontano dei differenti usi a cui poteva essere sottoposto il gesso speculare. Oltre a quello più diffuso per le finestre delle abitazioni, lo stesso materiale era impiegato anche nelle lettighe, nonché per realizzare la copertura di piccoli canestri in cui coltivare ortaggi nel periodo invernale. I cristalli, frantumati e ridotti in scaglie di piccole dimensioni, venivano disseminati sulla superficie del Circo Massimo a Roma per ottenere un particolare effetto ottico durante i giochi. Trattandosi di un gesso assolutamente puro, dalla sua cottura si otteneva infine la scagliola vera e propria, utilizzata per realizzare stucchi, le statue decorative degli edifici e le cornici. La polvere trovava inoltre applicazione in campo medico, bevuta nel vino contro la dissenteria e sparsa sopra le piaghe per facilitare la rigenerazione della carne, nonché nella cosmesi femminile, dove era impiegata come cipria.
I luoghi di estrazione
È Plinio il Vecchio, nella sua Storia Naturale, ad indicarci le principali aree in cui veniva estratta la pietra speculare: “Un tempo la produceva solo la Spagna Citeriore; ora si trova anche a Cipro, in Cappadocia e in Sicilia; poco fa si è scoperta anche in Africa. Comunque a tutte queste è da preferire quella di Spagna; le pietre di Cappadocia sono di dimensioni molto grandi, ma di colore scuro. Anche nella zona di Bologna, in Italia, se ne trovano piccole vene che sono incassate all’interno del gesso”.
Negli ultimi anni, all’interno della Vena del Gesso Romagnola, sono stati individuati diversi punti in cui, a partire dall’età romana, è stato praticato lo scavo del gesso speculare. La prima scoperta, effettuata dallo SpeleoGAM di Mezzano nel 2000, è quella relativa all’importante sito archeologico-estrattivo della Grotta della Lucerna. Ad essa sono seguiti, in rapida successione, i ritrovamenti e la rivisitazione di altre piccole cavità che presentavano analoghi segni di scavo. Tali ricerche stanno delineando un quadro sempre più preciso relativo a questa singolare attività estrattiva.
La Grotta della Lucerna
Questa cavità naturale, situata sulle pendici meridionali di Monte Mauro, è stata oggetto di attività di scavo in età romana, che hanno comportato l’allargamento di diversi rami della grotta e la realizzazione di gallerie artificiali per la ricerca e l’estrazione del gesso speculare, seguendo la rete di fratture contenenti questo particolare minerale trasparente. L’aspetto naturale della grotta è stato pertanto assai modificato dalla attività estrattiva.
Il rinvenimento, all’interno della cavità, dei frammenti di tre lucerne e di una moneta dell’imperatore Antonino Pio consente di datare la frequentazione di questo sito attraverso un arco temporale abbastanza esteso, fra il I-II e il IV-VI secolo d.C. Questo dato cronologico, assieme ad altre considerazioni legate alle caratteristiche della cava, induce a ritenere che l’attività estrattiva del gesso speculare avesse carattere di saltuarietà e fosse praticata da un numero ristretto di persone.
Le operazioni di scavo, avvenute seguendo la giacitura del gesso speculare lungo fratture per lo più verticali, hanno condotto alla realizzazione di gallerie piuttosto strette (50-60 cm) e alte fino a 4-5 metri. Vi si possono rinvenire in più punti le nicchie atte ad ospitare le lucerne (unica fonte di illuminazione sotto terra) e altri incavi destinati a sostenere piccole traverse di legno usate come scala per scendere e risalire lungo i tratti verticali.
Il rilievo di dettaglio delle strutture permette di apprezzare la perizia delle maestranze nella esecuzione dello scavo, praticato tramite diverse tipologie di scalpelli, con particolare attenzione al mantenimento della regolarità della sezione. In diversi punti, partendo dai solchi lasciati nella roccia gessosa, è possibile ricostruire le strutture lignee atte ad ospitare sistemi di carrucole, la cui funzione era quella di agevolare il sollevamento del materiale scavato e il suo trasporto verso l’esterno.
Danilo Demaria
L’Umbria in Ombra – Convegno speleologia in cavità artificiali
Todi 29 novembre – 01 dicembre 2013
Per informazioni: umbriainombra@gmail.com – tel. 349.2562514
Mondo di Pietra: si riapre il “caso” Briaglia. Un progetto multidisciplinare torna ad indagare il sottosuolo cuneese.
“Una necropoli di 4000 anni fa scoperta nei pressi di Briaglia” (Secolo XIX); “Riaffiora una necropoli megalitica” (L’Avvenire); “Sensazionale a Briaglia: scoperti i resti di una necropoli ligure di circa quattromila anni fa” (Gazzetta di Mondovì); “Rinvenuti sulle alture del monregalese dolmen, menhir e statue stele” (Gazzetta di Cuneo). Questi i titoli di alcuni giornali dei primi anni del 1970 relativi a presunti ritrovamenti avvenuti nel territorio di un piccolo comune in provincia di Cuneo sulle colline del monregalese: Briaglia.
Da una pubblicazione del 1972: “Dopo tre anni di studi, D’Aquino ed i suoi collaboratori hanno ritrovato i resti di un popolo di cui sino ad ora non si sapeva nulla. Lo studioso ritiene che questi monumenti megalitici siano stati innalzati dalla tribù dei Liguri Bagienni. (omissis) Il dolmen che ho potuto visitare è formato da un lungo corridoio, su cui si aprono un pozzo ed una nicchia, e dalla camera mortuaria. Il tutto scavato artificialmente in un materiale simile al tufo e dipinto in ocra rossa. Il tempo ha ricoperto le pareti con uno spesso strato di incrostazioni calcaree e solo in alcuni punti è possibile vedere la trasudazione dell’ocra. A sinistra dell’ingresso e, come ho detto all’interno, vi sono due pozzi molto profondi. La loro specifica funzione è ancora un mistero, si pensa che possano mettere in comunicazione con un’altra camera mortuaria ad un piano inferiore” (R. D’Amico, “Clypeus”, anno IX n.1 aprile 1972, pagg. 20-21).
In Piemonte vi sono alcuni reperti attribuibili alla cultura megalitica, ma un vero insediamento con necropoli e tombe a camere poteva essere veramente un ritrovamento unico. Archeologia o fantastoria? La ricerca dell’epoca nasceva spinta solo dalla passione di un professore casalese, il prof. Ettore Janigro D’Aquino, lontana dal mondo accademico e senza interessi economici, mossa solo dalla passione e dall’intuizione del ricercatore.
Il professor D’Aquino pubblicò numerosi articoli sulle sue scoperte segnalando, oltre al ritrovamento di numerose pietre, anche quello di alcuni ipogei che lui indicava come “dolmen”. In particolare, lungo la strada che da Briaglia scende ai laghetti, se ne troverebbero due. Uno si trova in località Casnea, con ingresso ad architrave a cui segue un corridoio e due camere, quello richiamato nell’articolo riportato. Qui individuava pitture in ocra rossa e gialla, nonché una pietra circolare con incisa un’arma. Nel 1972 un laureando in ingegneria presso il politecnico di Torino scrisse la sua tesi applicando metodi geoelettrici alla ricerca di cavità sotterranee proprio nel territorio di Briaglia: la sua analisi evidenziò altri cunicoli, stanze e pozzi. Questa tesi oggi è stata ritrovata ed è soggetta ad attenta verifica.
E. Janigro D’Aquino si trasferì a Briaglia riuscendo, con il suo entusiasmo, a coinvolgere tutto il paese. Ricerche e lavori di scavo proseguirono fino all’inizio degli anni Ottanta quando il comune, dopo aver raccolto un notevole numero di presunte stele, dee madri, antropomorfi, zoomorfi e menhir, chiese un parere definitivo alla Soprintendenza.
La risposta della Soprintendenza Archeologica per il Piemonte di Torino, del 21 ottobre 1981, fu però una doccia fredda: “Si porta a conoscenza di codesta amministrazione che la scrivente effettuò tempo addietro un sopralluogo, unitamente al Prof. Carducci, nella località in oggetto, al fine di verificare la natura e l’entità del fenomeno segnalato a questo ufficio quale “complessa manifestazione di megalitismo”. Nel corso del sopralluogo si appurò trattarsi di materiali che non rivestono interesse archeologico, il cui aspetto, talvolta vagamente antropomorfo o zoomorfo, è legato a fenomeni di erosione di origine naturale; se ne consigliò pertanto fino da allora un utilizzo che li riportasse ad una dimensione naturalistico-ambientale, per esempio in un parco pubblico, soluzione ritenuta tuttora valida ed opportuna”.
Lo scalpore iniziale andò scemando, l’interesse mediatico si spense, molte pietre andarono perse, gli ipogei dimenticati ed il professore deluso si defilò da Briaglia con il suo sogno che lo accompagnò fino alla morte avvenuta nel 2005. Sono ormai passati quarant’anni dal clamore dei presunti megaliti briagliesi, al momento attuale ancora storicamente poco sostenibili. Quelle antiche pietre, e quei singolari “crotin” (cantine), oltre ad essere caduti nell’oblio, costituiscono anche per i briagliesi, un ricordo oramai lontano, una “vecchia storia” consumata dal tempo e da una non bella diatriba.
In base a questa premessa, e sulla scorta delle passate ricerche, la giunta comunale di Briaglia ha avviato, con una équipe di associazioni di volontariato culturale, un nuova iniziativa dalle caratteristiche storico-turistiche legate ad un vasto progetto di più ampio respiro dal singolare nome “Mondo di Pietra”.
Il comune briagliese, grazie ad un contributo di una fondazione bancaria, in collaborazione con gli speleologi del “Mus Muris” di Torino, l’associazione Nazionale degli Ingegneri Minerari, il Museo Geologico Sperimentale di Giaveno, il Gruppo Culturale “Filosofare” e la supervisione della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, ha riaperto ufficialmente il “caso-Briaglia”.
L’equipe, formata da ricercatori di varia formazione facenti riferimento al dott. Fabrizio Milla, attraverso un progetto redatto il 13 dicembre 2011, si è data come obiettivo primario lo studio ed il recupero del crotin della Casnea, la cavità artificiale già censita nel catasto CA nell’ottobre del 2004 con il numero CA7036 Pi/CN, il piccolo ma suggestivo ipogeo a corridoio interamente artificiale con uno sviluppo di 15 metri, con due camere ed un pozzo interno, scavato in arenarie compatte e riccamente concrezionato.
I lavori hanno avuto inizio il 9 giugno del 2012 e dalle ricerche multidisciplinari condotte nel sito della Casnea sono emersi una considerevole mole di dati che sono stati presentati nel mese di maggio 2013 in due conferenze presso i locali della Confraternita di San Giovanni in Briaglia S.Croce, dal titolo: “L’Ipogeo della Casnea” Sulla via del recupero e “Solis Invictvs” Luce e tenebre nell’ipogeo della Casnea.
Prossimamente, al termine dello studio dei ritrovamenti avuti all’interno dell’ipogeo da parte della Soprintendenza, è in programma un terzo incontro dal titolo “L’Ipogeo della Casnea” Un confronto tra Speleologia e Archeologia.
Al momento, oltre all’impegnativo lavoro che ha portato al recupero della grotta, l’aspetto più eclatante deriva da un riscontro archeoastronomico che riguarda un fenomeno luminoso che si verifica al suo interno in concomitanza con il solstizio d’inverno: spettacolare e ancora in fase di studio ma che lascia poco spazio alla casualità del suo verificarsi. Il fenomeno è sovrapponibile a quello ampiamente documentato di Newgrange in Irlanda e di alcuni dolmen in Bretagna, prestandosi a suggestive ipotesi sull’origine e sull’uso dell’ipogeo che attendono di essere avvalorate dall’indagine archeologica e dal completamento del progetto che contempla anche l’individuazione e lo studio di altri ambienti sotterranei.
Di Fabrizio Milla (Associazione Mus Muris Torino)
Puliamo il Buio 2013 anche nel Parco Archeologico di Cuma (Pozzuoli – NA)
Il giorno venerdì 27 settembre 2013 si è svolta nel Parco Archeologico di Cuma l’annuale edizione di Puliamo il Buio. Oltre a due rappresentanti della speleologia campana (I. Guidone GSNE e F. Catuogno CAI Napoli), erano presenti alla giornata di sensibilizzazione: il presidente del Circolo Legambiente Pozzuoli-Campi Flegrei Cristina Canoro, il Funzionario Soprintendente di zona Paolo Caputo, il comandante della Guardie Forestali di Pozzuoli nonché alcuni rappresentati dell’Ufficio N.U di Pozzuoli (fig. 1).
Oggetto della giornata di sensibilizzazione è stato uno dei numerosi bunker militari che notoriamente caratterizzano sia il litorale flegreo sia il promontorio vulcanico di Cuma, su cui sorge tra l’altro l’antica acropoli greco-romana.
Con il patrocinio della FSC è stato reso agibile l’unico bunker che si presentava particolarmente caratterizzato da numerosi rifiuti antropici (fig. 2); questo, individuabile nella fascia più bassa del costone settentrionale della collina, risultava essere più accessibile dei c.d. bunker alti, i quali, trovandosi a quote maggiori e ben protetti dalla vegetazione collinare, si presentavano particolarmente puliti nonostante l’acclarato stato di abbandono.
Grazie al supporto degli operai dell’Ufficio N. U. di Pozzuoli, sono stati stoccati due sacconi di “indifferenziata” e tre sacchi di materiale pesante, quali contatori del gas, cuscini in gomma piuma, coperte, reti arrugginite, secchi di plastica.
Nonostante tale complesso militare sia stato rilevato e studiato già da diversi decenni, il dott. Caputo ha mostrato agli speleo presenti l’accesso di un’altra cavità, sita sempre sul lato settentrionale, per la quale non risulta al momento alcuna documentazione (fig. 3). Rilevatone sommariamente la lunghezza e osservatone le caratteristiche tipologiche essa è stata ipoteticamente ascritta allo stesso periodo degli altri ipogei militari conosciuti, benché le pareti si presentassero grezze e senza la messa in opera dell’intonaco. Possiamo anticipare però che, dopo questa giornata d’impegno ambientale, si sono gettate ottime basi per una futura collaborazione tra la Federazione Speleologica Campana e la Soprintendenza Archeologica di quest’area flegrea.
Di Ivana Guidone (Gruppo Speleologico Natura Esplora – GSNE).
A Bari una mostra sul vivere in grotta in area mediterranea
Si inaugura oggi alle ore 18 a Bari la mostra “Italia Turchia: il vivere in grotta lungo le vie della Puglia e della Cappadocia”, organizzata dall’Associazione del Centro Studi Normanno-Svevi (Bari).
L’esposizione, ospitata nella sala centrale del Palazzo della ex Posta Centrale, storico stabile anni ’30 nel centro di Bari, è il risultato del progetto scientifico “Cultural Rupestrian Heritage in the Circummediterranean Area”, cofinanziato dalla Comunità Europea, al quale hanno partecipato, oltre alla Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze anche università spagnole, francesi, turche e greche e per la componente speleologica di supporto il Centro Studi Sotterranei di Genova. A Massafra (Taranto) è stato inoltre costituito un Centro di documentazione internazionale sull’Habitat rupestre dell’Area mediterranea.
I risultati dei lavori, svolti da 80 esperti dell’habitat rupestre per il progetto europeo, è stato presentato in convegni in Italia (Massafra e Firenze) e in Turchia, a Nevsehir (Cappadocia) e a Istanbul. Il Centro internazionale di documentazione sull’Habitat rupestre dell’Area Mediterranea, Massafra (TA), ha allestito il materiale per illustrare le attività svolte nel progetto europeo Programma Cultura 2007-2013.
La mostra ha l’obiettivo di divulgare i risultati del lavoro svolto presentando il materiale fotografico e grafico prodotto dall’Università di Firenze, Dipartimento di Architettura, sotto la guida della prof. Carmela Crescenzi e prof. Marcello Scalzo ed i repertori fotografici acquisiti nel corso della Missione Cappadocia 2011 dal fotografo Umberto Ricci (Archeogruppo Massafra).
Il corpus consiste in oltre un centinaio di pannelli fotografici che attestano il lavoro svolto dalle differenti equipe che hanno preso parte alla missione e che illustrano la complessità del vivere in ambiente rupestre, ma anche le manifestazioni artistiche di tali contesti, noti in tutto il mondo, quali chiese affrescate, particolarità delle forme architettoniche e delle erosioni a cono che caratterizzano l’ambiente della Cappadocia. Una sezione integrativa consente di porre l’attenzione sulle specificità presenti sul territorio che ospita la mostra: insediamenti in Puglia ed alcuni siti della città di Bari.
La mostra durerà dal 9 al 25 ottobre 2013.
Indirizzo ed orari di visita: Palazzo Ex Posta Centrale, Piazza Cesare Battisti, Bari.
Orari di apertura: dal Lunedì al Venerdì ore 9,00 – 19,00; Sabato ore 9,00 – 12,30.
La chiesa rupestre dei Quaranta Martiri torna all’antico splendore
Sabato 28 settembre 2013, a Şahinefendi (provincia di Ürgüp), nel cuore della Cappadocia (Turchia centrale), alla presenza delle autorità turche e di un numeroso pubblico si è svolta la cerimonia per la conclusione dei restauri della Kirk Şehitler Kilisesi (chiesa rupestre dei Quaranta Martiri) condotti dall’Università della Tuscia (Viterbo), sotto la direzione della prof.ssa Maria Andaloro, in collaborazione con il Museo Archeologico di Nevşehir (direttore dr. Murat Gulyaz).
I lavori, iniziati nel 2006, sono parte di un più ampio progetto dal titolo “La pittura rupestre in Cappadocia. Per un progetto di conoscenza, conservazione e valorizzazione”, che vede la partecipazione di diversi specialisti impegnati nello studio delle numerose e variegate emergenze rupestri di questa regione dell’Anatolia. Oltre a restauratori, storici dell’arte, architetti, archeologi, chimici, geologi e fotografi, l’Università di Viterbo ha ritenuto opportuno avvalersi anche del contributo di speleologi del Centro Studi Sotterranei (Andrea Bixio, Roberto Bixio, Andrea De Pascale, Alessandro Maifredi, Simona Mordeglia).
Durante due anni di ricerca, nelle campagne svolte nel 2012-2013, l’équipe del Centro Studi Sotterranei ha esplorato il contesto ipogeo inerente la chiesa oggetto dei restauri, documentando diverse tipologie di cavità artificiali tra cui un rifugio, due villaggi rupestri, tombe ipogee e altre strutture sotterranee cronologicamente comprese tra l’età del Bronzo e l’età bizantina.
Completato l’intervento di conservazione e valorizzazione della chiesa dei Quaranta Martiri, ora aperta al pubblico con un percorso di visita integrato con il vicino sito archeologico di Sobesos (villa di età romana con impianto termale e resti di età tardo-antica e bizantina), il progetto di ricerca dell’Università di Viterbo prosegue – affiancato pure da un PRIN che vede il coinvolgimento di numerosi atenei italiani e ancora del Centro Studi Sotterranei – con un articolato piano di lavoro dedicato all’area di Göreme e alle emergenze rupestri presenti nell’Açik Hava Muzesi (Open Air Museum) e nelle sue vicinanze, Patrimonio dell’Umanità UNESCO.
Di Andrea De Pascale e Roberto Bixio – Centro Studi Sotterranei
UMBRIA IN OMBRA CONVEGNO SPELEOLOGIA IN CAVITA’ ARTIFICIALI
Todi 29 – 30 Novembre – 1 Dicembre 2013 Palazzo Comunale, Sala delle Pietre
Esperienze di ricerca, tutela e valorizzazione nel sottosuolo dei centri storici Umbri.
Il Convegno, organizzato nell’ambito delle iniziative del 40° anniversario della scoperta della città sotterranea e dell’inizio delle esplorazioni, è promosso da “Todi Sotterranea”, associazione che mira alla promozione e valorizzazione del patrimonio storico sotterraneo della città.
L’evento mira alla conoscenza e alle esperienze in atto per la tutela, recupero e valorizzazione del patrimonio storico archeologico e artistico del sottosuolo delle maggiori città e dei borghi minori dell’Umbria.
Il convegno sarà aperto al pubblico e si terrà presso la Sala delle Pietre. Durante le giornate di studio verrà presentato lo stato dei lavori sulla ricerca nel sottosuolo dei centri storici umbri, i maggiori progetti di valorizzazione in corso su siti sotterranei, realtà e problematiche relative ai progetti già oggetto di sviluppo turistico e più in generale, le prospettive di studio e ricerca nell’ambito della speleologia in cavità artificiali in Umbria. Un’occasione di confronto per far conoscere ad un pubblico più vasto il prezioso patrimonio storico archeologico sotterraneo dell’Umbria.
Il Convegno ha il Patrocinio della Commissione Nazionale Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana e della Federazione Umbra Gruppi Speleologici.
Scarica qui la prima circolare: PRIMA CIRCOLARE CONVEGNO TODI
Cappadocia: nuova missione del Centro Studi Sotterranei e UniTuscia
E’ in corso in Cappadocia la seconda missione del Centro Studi Sotterranei di Genova condotta in collaborazione con l’Università della Tuscia. La spedizione, iniziata l’11 settembre, durerà sino al 30.
Il survey, che comprende anche lo studio delle antiche opere idrauliche, si colloca nell’ambito di un progetto pluriennale per lo studio del contesto urbano ipogeo delle chiese rupestri in corso di restauro.
Il progetto è autorizzato dal Ministero della Cultura Turco.
Il Centro Studi Sotterranei di Genova, grazie agli innumerevoli studi speleo-archeologici condotti in Turchia nel corso degli ultimi venti anni, si conferma come preciso punto di riferimento per chiunque sia interessato alla conoscenza del paesaggio antropico ipogeo dell’area.