Tag: cavità artificiali
Esplorato un profondo pozzo artesiano a Villar San Costanzo (Cuneo)
“Ciao, sono Maurilio, faccio parte dello Speleo Club Saluzzo, abbiamo sempre svolto attività in grotte carsiche, ma sabato scorso ci è capitato di esplorare un pozzo artesiano…”.
“Si, certo – gli rispondo – le cavità artificiali uno non se le cerca, di solito ci inciampiamo nel corso dell’attività e poi capita di rimanerne affascinati”.
Sabato 21 ottobre 2017, a Villar San Costanzo (Cuneo), nel giardino della Locanda “I Gelsi” lo Speleo Club Saluzzo F. Costa CAI Monviso ha intrapreso la sua prima esplorazione in cavità artificiali. I proprietari della locanda discorrevano da tempo con Maurilio Chiri “Nonno Brinu” della possibilità di calarsi per esplorare il pozzo e dopo una prima prospezione dall’esterno, condotta con l’ausilio di una telecamera, due squadre di speleologi si sono alternate nell’esplorazione vera e propria che è stata condotta con il supporto di tecnici specializzati in lavori su corda e ambienti confinati, verificando costantemente la qualità dell’aria durante la discesa.
Si tratta di un pozzo della profondità di 71,5 metri e diametro di 96-112 centimetri, con buona probabilità un pozzo-cisterna funzionale ad attingere e conservare l’acqua potabile o utilizzata per scopi irrigui prima della realizzazione del vicino Canale Comelia, che riceve acque dal torrente Maira e grazie al quale nel XV secolo venivano alimentati anche i mulini.
Dalle verifiche speleologiche eseguite il pozzo presenta nei primi 18 metri dalla vera un rivestimento in pietre e mattoni (non riscontrati segni di alloggiamento travi di sostegno), i successivi 12 metri risultano scavati nel conglomerato sedimentario al quale fa seguito un imponente strato di roccia viva (granito) sulla quale sono ancora ben visibili i segni dello scalpello. Verso il fondo riappare il conglomerato e un rivestimento terminale in muratura sostenuta da supporti in legno ormai degradato.
Oltre alla particolarità del rivestimento, che sarà analizzato nel dettaglio per comprendere l’alternanza di strati permeabili ed impermeabili, va sottolineato che il piano di scorrimento del torrente Maira si troverebbe 30 metri più in alto rispetto al fondo del pozzo. Lo studio proseguirà con l’analisi dei frammenti di malta prelevati dall’interno del pozzo e con studi bibliografici che possano consentire un inquadramento storico della imponente struttura. Ci auguriamo che al termine dello studio i risultati vengano pubblicati su questa rivista perché l’analisi di questa interessante opera idraulica potrebbe consentire comparazioni con strutture similari.
CG Redazione Opera Ipogea
Cagliari Sotto. Record di visitatori per l’esposizione del fotografo Marco Mattana
La mostra è stata ospitata presso il SeArch (sede espositiva dell’Archivio storico) di Cagliari, dal 13 Luglio al 15 ottobre 2017 fra gli eventi della manifestazione Cagliari Paesaggio organizzata dal Comune di Cagliari e patrocinata dalla Federazione Speleologica Sarda e dal Gruppo Speleo-Archeologico “Giovanni Spano” di cui Marco Mattana fa parte. Oltre 10.900 visitatori nei tre mesi di apertura al pubblico.
L’esposizione “Cagliari Sotto“, racconta attraverso le originali fotografie di Marco Mattana una città, Cagliari, che muta sotto le strade al pari della città “di sopra”. Un viaggio nella storia ala scoperta del cuore segreto della principale città sarda. Le immagini attraversano la storia, dai Fenici agli Spagnoli, passando per la Carales dell’Impero Romano e il Castel di Castro dei pisani, fino ai fatti storici più recenti e l’utilizzo degli ambienti sotterranei come rifugi antiaerei durante la Seconda Guerra Mondiale.
La cultura, la religione e le necessità tengono in vita la storia delle cavità artificiali cagliaritane per millenni.
L’esposizione è un percorso sotterraneo nella città per immagini che passa da un lato all’altro di Casteddu: dal quartiere del Porto a quello del Faro, da quello degli artigiani a quello del commercio, senza mai addentrarsi in una “grotta” uguale alla precedente. La mostra è ora in attesa di nuova collocazione in altri spazi espositivi.
L’UROBORO
Prefazione (ndr)
L’Uroboro è un simbolo molto antico rappresentato da un serpente che si morde la coda, aggrovigliato in un cerchio senza inizio né fine. Simboleggia quindi l’infinito, l’eterno ritorno e la ricerca della perfezione, insinuando nel contempo un sottile quanto legittimo dubbio: il tutto equivale al niente?
Questo racconto ©Giovanni Badino fa parte di una serie di sue novelle ancora inedite che mettono in evidenza, in modo ironico e a volte amaro, aspetti della speleologia mai presi in considerazione prima d’ora. Il filo conduttore di tutte è la “deviazione”, intesa nelle sue diverse accezioni (geografica, antropologica, etica, relazionale) mentre l’invito implicito che affiora dai vari racconti è quello di provare a modificare il rapporto esageratamente complesso che abbiamo oggi con il mondo, compreso quello ipogeo, riappropriandoci della semplicità che caratterizzava la speleologia fino a qualche decennio fa, prima che alcune storture (spesso mentali) la distogliessero in larga parte dagli obiettivi primari ovvero la ricerca, la scoperta e l’esplorazione.
Un diverso modo di intendere il rapporto fra l’uomo e l’ambiente grotta, l’uomo e la sua storia, l’uomo e sé stesso.
In Uroboro, unico racconto della raccolta dedicato alla speleologia in cavità artificiali, Giovanni Badino immagina il confronto fra speleologi che si trovano a censire una struttura ipogea di difficile attribuzione. Il risultato è esilarante. La Commissione Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana ha prodotto da molti anni la classificazione tipologica delle cavità artificiali. Nel corso del tempo si è reso necessario aggiornare periodicamente la codifica, quando – ad esempio – venivano scoperte nuove tipologie di cavità. Oggi l’albero delle tipologie è condiviso anche in ambito internazionale dalla Internation Union of Speleology e ripreso da studiosi di varie discipline. E’ indispensabile per censire in modo oggettivo una struttura ipogea artificiale e, pur nella sua apparente complessità, segue una logica che deriva da anni di studio e confronto fra gli speleologi italiani.
Anche questo episodio, come gli altri della raccolta, è frutto della fantasia dell’Autore ma in questo caso i personaggi, pur celati da nomi diversi, esistono realmente. Lasciamo ai nostri lettori più curiosi scoprire di chi si tratta, se ne avranno voglia.
Ringraziamo Giovanni Badino per aver concesso la pubblicazione del racconto in anteprima su questo sito, augurandoci di poter sfogliare presto il volume con tutti i racconti.
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L’UROBORO
Testo ©Giovanni Badino
E vietata la riproduzione anche parziale del testo in qualsiasi forma.
Sono in quattro, seduti davanti all’ingresso, con ancora i caschi in testa, alla luce del sole che tramonta.
“E’ davvero strano”.
“Sì, incredibile”.
“Ma com’è possibile? E’ un numero sacro, ma qui che c’entra?”
“Infatti non è possibile, pare un sogno. Però conferma in modo definitivo la nostra Classificazione delle Cavità Artificiali e la fondatezza dell’Albero delle Tipologie. Non è poco”.
“Sì, ma…”. Si zittisce e scuote il capo.
“Ma è impossibile”, conclude.
“Eppure è così, l’abbiamo visto coi nostri occhi. In poche ore”.
Poche ore fa, nello stesso posto.
L’ingresso è squadrato, molto basso perché ingombro di una frana che è stata evidentemente scavata di recente, ma in origine doveva essere ampio, adatto alla passaggio di due o tre persone affiancate.
Rita è emozionata, sta accompagnando tre mostri sacri della speleologia nelle cavità artificiali. Accendono le luci, superano il passaggio basso e lo scivolo, si inoltrano nel corridoio. Arrivati ad uno slargo, Rita si ferma e si volta.
“Vedete, qui c’è questa nicchia”.
“Chiaramente una tomba di tipo loculo “, dice Anna.
“Quasi un arcosolio, vedi la curva”, corregge Ugo.
“Già…”, comincia Luca.
Interviene Rita: “Certo, una tomba, e quindi lì per lì avevo classificato la cavità come Culto C, Sepolcrali 2, quindi C2; e infatti è confermato dalla successiva”, i passi echeggiano nella galleria, alla destra appaiono altre tombe, c’è un buco nel pavimento, “ma sono sette tombe scavate attorno a questo pozzetto, vedete che lo evitano, e questo è profondo una decina di metri e porta a quella che avevamo giudicato una cisterna per l’acqua, quindi sarebbe una cavità fatta inizialmente a questo scopo”.
“Esatto, quindi un Idrauliche A, Cisterne 4, quindi A4 diventato poi C2”, conferma Anna.
“Sarebbe così, ma poi se guardate il soffitto della cisterna…”, Rita tira fuori dei fogli e mostra le immagini a tutti, “…scoprite che è tutto inciso, e che sul muro di fondo c’era una nicchia con incisa una V rovesciata e due trattini a lato, e dei resti di un bassorilievo a fianco, e un canale di drenaggio che scaricava fuori della sala, vedremo poi dove. Poi…”, ha ripreso a guidare il gruppo in avanti, “abbiamo scoperto anche che c’era un accesso precedente, questo”.
Si è fermata davanti ad un passaggio in ripida discesa, ampio, con una scala, “passaggio che al fondo era chiuso da un muro più recente che sigillava la sala per renderla a tenuta d’acqua. E con la stessa tecnica hanno sigillato anche lo scarico. Sul muro, bizzarramente, c’è una scritta VII, sette in Latino”.
“Prima hai detto che nella nicchia c’è una V rovesciata? Ma è il cinque etrusco. Quindi anche là c’è un sette”.
Si fa silenzio.
“Ma è chiaro. Quindi era un luogo di culti ctoni dedicati all’acqua per la presenza di una sorgente…” inizia Ugo.
“Culto di Vacuna”, dice Anna.
“Potrebbe essere invece di Argizia”, osserva Luca.
“O Feronia. E poi per qualche motivo hanno cambiato destinazione alla sala che è diventata cisterna, ma forse mantenendo il numero per la sua sacralità. Quindi non vedo il problema, hai una fase Culto C, Luogo di Culto 1, quindi C1 a cui è seguita quella A4 e poi la C2”, finisce di chiarire Ugo.
Rita accenna col capo.
“Infatti anche a noi pareva così, ma poi abbiamo notato altri usi. Vedete qui, quella che era una tomba ad arcosolio è stata sfondata hanno fatto questo corridoio in salita e poi questa ambiente…”, ora sono entrati in fila in un’ampia sala e illuminano attorno, “…con sei sedili e questa sorta di trono, che chiaramente aveva uno scopo di riunione o roba simile”.
“E c’era qualcuno con un ruolo dominante. Cos’è quell’incisione sopra il trono che sembra un lampadario rovesciato?”, dice Luca.
“Boh, non si capisce, paiono tre righe sovrapposte, le due superiori con tre piccole V e quella inferiore con una sola. Una sorta di mappa della sala?”.
“Sembra un simbolo in caratteri cuneiformi, fatto di sette elementi. Sarà stata una sorta di sala del consiglio.”
Ugo accenna di sì con la testa, chiarisce: “Mi pare convincente, si tratta di un uso civile piuttosto raro, quindi è certamente da classificare Insediative Civili B, Altri Insediamenti 8, cioè B8. Io ho già avuto dei casi simili dalle mie parti…”
Rita interrompe Ugo: “sì, ma venite di qui, vedete che uno dei sedili è stato mezzo scavato via, rompendo la simmetria della sala, per realizzare questa scala in salita”, ci si infila, gli altri la seguono.
Emergono in un corridoio superiore, umido, con un odore di muffa e nicchiette alle pareti.
“Ecco, vedete, qui non riuscivamo a capire cosa avessero fatto a fare questa galleria con tutte queste nicchie, su sette livelli. Non sono né tombe né colombari, poi abbiamo fatto analizzare quei terricci e, scoperta, cosa abbiamo trovato?”
La complessità crescente della cavità e quest’ultima domanda stanno cominciando ad irritare i tre invitati.
“Coltivavano coca”, dice Ugo, e ridacchia per la sua battuta.
“Non coca ovviamente, ma funghi. Funghi allucinogeni!”, aggiunge trionfante Rita.
“Però, notevole, anche una cavità dalle mie parti aveva una destinazione simile, ma per coltivare champignon. Ma bene, questa è chiaramente l’ultima fase, ed è Estrattive E, Coltivazioni 5, quindi E5!”, dice Luca.
“E forse quella che abbiamo passato non era la sala delle riunioni ma di viaggi allucinogeni! Ma non è la fase finale perché il corridoio successivamente… Venite a vedere”.
Si incamminano e il corridoio si amplia dopo aver ricevuto una galleria ascendente da cui arriva un rigagnolo, le nicchie sono ancora visibili ma scalpellate, la galleria ora è in lieve discesa e va curvando.
“Chiaramente questo tratto di galleria, una volta in disuso per la coltivazione, è stato riutilizzato come scarico, come fognatura!”, conclude Rita.
“Curioso. Dunque questa cavità sarebbe C1 poi A4 poi C2 poi B8 poi E5 e infine qui Idrauliche A, Fognature 7. Insomma, A7!”
“Anche a noi pareva così semplice”, dice Rita, “ma in tal caso non vi avremmo consultati”.
Sei occhi la fissano sorpresi.
Lascia passare qualche secondo di silenzio e poi aggiunge, con enfasi: “pare effettivamente più recente, e infatti qui ci sono incisioni…”, illumina un punto della parete; con la luce radente appaiono delle linee, un paio di lettere consunte e un sette.
“Sembrano robe più recenti ma se continui nella galleria puoi andare avanti per un centinaio di metri sino ad una frana. Il guaio è che la galleria passa vicino alla cisterna già luogo di culto che abbiamo visto all’inizio”.
“E la taglia”, dice Ugo.
“No. E’ il luogo di culto che è stato chiaramente costruito evitando la fognatura. E anzi, la cosa misteriosa è proprio che la sorgente del sala del culto scaricava nella fognatura, appunto”.
Si fa silenzio. Lo rompe Luca.
“Ma questo è impossibile, la fognatura sarebbe quindi precedente a tutto!”
“Esatto, e se guardi nel dettaglio come è fatta, vedi che è tutta quanta progettata prima del luogo di culto. Anche la tecnica di scavo è uguale da cima a fondo. La sala è successiva, viene riutilizzata come cisterna sotterranea con gallerie di accesso, poi adattate per usi sepolcrali, poi ampliata per chissà quali riunioni, poi adattata per coltivazioni di funghi sicuramente in relazione alle riunioni, e infine trasformata in fognatura. Che però è precedente al luogo di culto. Chiaramente”.
Il silenzio che scende è rotto solo da un lontano gorgogliare d’acqua. Sembra che il ruscello ridacchi.
Rita assapora il trionfo, continua: “quindi è da classificare C1, A4, C2, B8, E5, A7, poi riprende C1, A4 e così via all’infinito, come un serpente che si morde la coda. Ma potrebbe anche essere A4, C2, B8, E5, A7, C1 e via dicendo a seconda di quale uno considera la prima fase. Quindi non è una cavità artificiale facile da classificare”.
“E’ un Uroboro”, dice Ugo.
“Cosa?”
“Un serpente che si morde la coda. Dal greco Ouroboros. Dalle mie parti…”.
“No, è vero, non è facile classificare. Ma notate, le lettere della Classificazione sono: CACBEA”, dice Anna pensierosa.
“Brava Anna, bella idea! Potrebbe essere il nome in qualche lingua pre-indoeuropea! Kak-Bea, cosa potrebbe significare? Grotta Urbana? Cavità Artificiale? Questo sarebbe un serio argomento a sostegno della nostra Classificazione delle Cavità Artificiali”, dice Luca.
“O forse la chiave è nel 142857. Vediamo…”
Ugo lo scrive sul pavimento.
“Non pare un numero interessante”, dice Anna.
“E’ impossibile che non sia interessante, questo significherebbe che il nostro Albero delle Tipologie è sbagliato. Se lo moltiplico per due cosa succede? Anna, hai la calcolatrice nel tuo telefono?”
“Certo”. Lo estrae di tasca e poi batte il numero sulla tastiera.
“Per due uguale a duecentoottantacinquemila settecentoquattordici. Non è interessante neppure questo”
“Strano, prova per tre”.
Lo stillicidio continua in lontananza.
“Dunque per tre fa quattrocentoventottomila cinquecentosettantuno. Niente”.
“Io credo che la chiave sia nella parola non indoeuropea e non nei numeri, figurati se quelli che hanno scavato questa cavità erano matematici”, dice Luca.
“Può darsi, ma Anna, prova ancora, per quattro cosa fa?”
“Fa… cinquecentosettantunomila quattrocentoventotto”
“… No, non ha nessun senso”.
“Forse Bea Cac era il nome della sacerdotessa dei riti della sorgente, vestale di Vacuna”, ipotizza Anna.
“O forse il nome era Ak Beac, lo stregone dei riti allucinogeni”, dice Luca.
“Aspetta Anna, prova a moltiplicare il numero per cinque”, dice Rita che prima era rimasta pensierosa a guardare lo schermo del telefono di Anna mentre faceva i calcoli.
“Uffa, fa… settecentoquattordicimila duecentoottantacinque”.
“Ho capito!”, urla Rita, suscitando echi nelle gallerie.
La fissano tutti. Prende il telefono dalle mani di Anna,
“Che fantastica la vostra Classificazione delle cavità artificiali, fantastica. Ecco, 142857 per 2 fa…”, si è chinata a incidere col dito le cifre sul fango secco del pavimento, “285714, poi per 3 fa…”, digita e scrive il nuovo numero sotto il precedente, “428571, per 4 fa 571428, per 5 fa 714285 e a questo punto per 6 farà… 857142!!! Incredibile!”
“Incredibile cosa?” chiede Luca.
“Non vedi che sono sempre le stesse cifre, nello stesso ordine, che scorrono? Puoi variare il punto iniziale, ma poi la sequenza è sempre la stessa, circolare nelle cifre. E questa cavità è circolare nel tempo!”
Si è fatto silenzio, mentre gli altri cercano di afferrare la cosa.
“Ma com’è possibile?”, chiede Anna.
“Non lo so, è un mistero matematico”, dice Rita.
Luca, si è perso fra i numeri e continua a pensare alle lettere.
“Non escluderei comunque il nome K-Beaca, con un suono occlusivo palatale iniziale che è caratteristico di tante lingue del substrato mediterraneo. Forse era il nome del progettista della cavità”.
“Che evidentemente doveva essere un raffinato matematico”, conferma Ugo, sollevato, “anche dalle nostre parti ci sono diverse cavità che possono essere classificate con una palatale sonora. E a questo proposito, nella Classificazione manca la R, quindi le sigle delle cavità non possono rendere i nomi originali se in quelli c’erano delle consonanti vibranti”.
“Hai ragione Ugo”, dice Luca, “sono consonanti molto usate nel substrato linguistico mediterraneo. Ad esempio non si può rendere il suono KR, che sta per luogo pietroso e da cui derivano le parole carso e…”.
“Sì, alla prossima riunione facciamo una riflessione su questo punto per perfezionare l’Albero delle Tipologie”, taglia Anna.
“Ma nel frattempo come la classifichiamo?”, chiede Rita.
Si fa silenzio. Lo rompe Anna.
“Potremmo fare così, in attesa della riunione: stabiliamo che per le cavità circolari nel tempo come è questa, la classificazione è O, che è circolare, seguita dai numeri della classificazione”.
“Bell’idea, Anna, O di Ouroboros”, dice Luca.
“Oppure uno zero, che è anche circolare!” dice Rita.
“Va bene, anche uno zero. E poi c’è la serie dei numeri, qui 0,142857”.
“Anzi, ripetendo la serie dei numeri all’infinito, come nei numeri periodici”.
“Ma questo è impossibile, riempiresti qualsiasi scheda catastale, anche grandissima”.
“Giusto, non si può”. Riflette.
“Idea! Segni solo il periodo, con un soprasegno come si fa in matematica”.
“Già, ma quei numeri periodici non erano frazioni?”, chiede Luca.
“Ah è vero Luca, sei un genio, vediamo che frazione è. Sarà l’inverso di qualcosa”, Anna ha afferrato il telefono e scrive.
“Uno diviso zero virgola uno quattro due otto cinque sette uno quattro due otto cinque sette uno quattro due” ha riempito lo spazio delle cifre.
“Uguale a…”.
Si zittisce, con gli occhi sbarrati a guardare lo schermo. Lo mostra agli altri.
Altri sei occhi si sbarrano.
C’è scritto: “7”. Esattamente.
In lontananza il ruscello continua a creare echi nella galleria. Pare che ridacchi.
©Giovanni Badino è vietata la riproduzione anche parziale del testo.
Il rifugio antiaereo di Molassana (Genova)
Nell’ambito delle ricognizioni effettuate all’interno di ipogei inediti, siti nel Comune di Genova, si è provveduto a visitare e rilevare una struttura di protezione antiaerea che si trova nel quartiere genovese di Molassana. La pianta generale del rifugio è a tridente con tre ingressi, dei quali, quello centrale, occluso da materiale franato dalla collinetta soprastante. Gli accessi sono protetti da muri anti soffio dello spessore di circa 1 m.
La galleria dell’interno, dello sviluppo lineare complessivo di circa 70 m, ha una larghezza variabile da 3 a 1,5 m e un’altezza media di 2 m. ed è caratterizzata da bellissime concrezioni calcaree di diverse e complesse fogge e cospicua presenza di fauna ipogea. è stata infatti visivamente rilevata la presenza del pipistrello Rhinolophus ferrumequinum, del geotritone del genere Speleomantes, dell’artropode Scutigera coleoptrata e della caratteristica lumachina blu del genere Oxychilus.
Si segnala inoltre la presenza, nei pressi del ingresso centrale, di una piccola edicola votiva di forma triangolare sotto la quale è ancora parzialmente leggibile un’iscrizione di colore rosso, recante la dicitura “Ora pro nobis”, ed il numero 43, forse l’anno di costruzione della struttura o di dedica dell’effige sacra attualmente scomparsa. Come di consueto, seguiranno indagini archivistico-bibliografiche al fine di approfondire il contesto in cui si colloca la struttura.
Contributo di Henry De Santis con la collaborazione di Alberto Romairone e Andrea Roccatagliata (Speleo Club Gianni Ribaldone Genova).
International Forum Caves As Objects Of History And Culture
Divnogorye, Voronezh, Russia 19-22 April 2016
Aim of the forum is to exchange the experience in the field of research and protection of underground objects: natural caves, underground architectural constructions, old mines.
THE MAIN THEMES
- Caves associated with historical events
- Artificial caves as objects of cultural heritage (underground architectural constructions, old mines)
- Rock painting and cave graffiti
- Sacred complexes in natural and artificial caves (Christian, Muslim, Buddhist, pagan and so on)
- The idea of underground space in the culture of different nations, its value and mythologization underground space in ancient literature (up to and including the XVIII century)
- Historical city and military underground constructions
- Problems of protection of caves and related applied research
- Musefication of caves: technical, ethical and legal aspects
IMPORTANT DATES
20 of October 2015 – deadline for registration for participation in Forum
20 of December 2015– deadline for payment of the Registration fee for participants who will publish articles
20 of December 2015 – Article deadline
1 of February 2016– publication of the Second Circular
20 of March 2016 – deadline for registration on individual excursions (detailed information will be published in the second Circular)
16-17 of April 2016 – individual excursions
19-22 of April 2016 – Forum
23-24 of April 2016 – individual excursions
SECRETARIAT
For correspondence and applications please use the following address Kondrateva Sofia (executive secretary) – kosofia@yandex.ru
Tel. +79036518872
Il 26 settembre 2015 a Bologna torna la Notte Blu
L’appuntamento è dalle 18 a mezzanotte, in Piazza 20 Settembre n. 7 (Cassero di Porta Galliera).
Anche quest’anno a Bologna si ripete l’evento che consente di conoscere i tanti aspetti che legano l’acqua e la città, con oltre 30 appuntamenti fra visite guidate, proiezioni, concerti e spettacoli teatrali, distribuiti fra chiuse, sostegni, canali, antichi opifici azionati dall’energia idraulica, edifici storici e moderne minicentrali idroelettriche.
Dopo il successo dello scorso anno, con le visite guidate alle cinquecentesche Conserve di Valverde, il Gruppo Speleologico Bolognese-Unione Speleologica Bolognese propone un nuovo itinerario alla scoperta della Bologna sotterranea.
Saremo infatti ospiti degli amici di Legambiente al Cassero di Porta Galliera, in Piazza 20 Settembre, di fronte alla Stazione centrale FS.
Oggetto delle visite guidate sarà il Canale delle Moline, che oggi scorre per lungo tratto in sotterraneo sotto la città, e che proprio qui mostra uno dei pochi affacci in superficie.
Nei pressi della Porta, fra il 1330 e il 1511, venne costruita dai pontefici per ben cinque volte una forte rocca, come simbolo del loro tentativo di dominio sulla città, ma per altrettante volte questa venne attaccata e demolita dai Bolognesi. Dell’ultima di esse rimane una sdrucita porzione di torrione nei pressi della Montagnola, il vasto rialzo formatosi proprio a partire dall’accumulo dei materiali conseguente allo smantellamento della rocca papale.
Sempre nei pressi della Porta, nel 1493, Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna, fa costruire un porto fluviale, spostando nei pressi della città quello esistente fin dal IX secolo a Corticella. Da qui, tramite una serie di canali navigabili, si poteva giungere a Ferrara e al Po e quindi a Venezia, a Mantova e a Milano: attraverso le acque interne un’unica grande rete commerciale congiungeva tutte le principali città del Nord Italia. I resti del porto sono stati rinvenuti in anni recenti e sono visibili proprio in corrispondenza della Porta.
Lungo il Canale delle Moline, come indica il nome, dal 1516 rimasero attivi per secoli gli stabilimenti per macinare il grano, appartenenti all’Università delle Moline e delle Moliture, ossia alla corporazione cittadina dei mugnai. Poco prima di giungere alla Porta alle acque del canale artificiale si uniscono quelle dell’unico corso d’acqua naturale di Bologna, il torrente Aposa, anch’esso oggi totalmente sotterraneo.
Oltre alle visite guidate al Canale delle Moline si susseguiranno le proiezioni di un video sui percorsi nascosti dei canali di Bologna e non mancherà il punto di ristoro con ottime crescentine.
Le visite ai sotterranei del Canale delle Moline saranno esclusivamente dietro prenotazione da effettuarsi sul sito www.gsb-usb.it (per maggiori informazioni contattare il 331 6457292).
Danilo Demaria
PAESAGGIO DI PIETRA. GLI INSEDIAMENTI RUPESTRI DELLE SERRE SALENTINE.
“Le pietre sono vive. Sono le pagine di un libro, di un romanzo. Raccontano storie: le storie degli uomini. Osservandole possiamo scorgere significati che vanno oltre la materia di cui è fatta la pietra”.
L’autore introduce così la sua opera. Stefano Calò è un giovane archeologo salentino che ha attentamente indagato gli insediamenti rupestri che caratterizzano la Puglia, in generale, ed in particolare la zona del Salento.
Il rapporto fra l’uomo e la pietra risale agli albori della storia. Utilizzata per cacciare e creare utensili, simulacri e opere d’arte. Dove i fattori geologici favorivano la presenza di grotte e caverne l’uomo ha saputo trarne vantaggio sfruttando inizialmente l’ambiente grotta come rifugio e dimora e successivamente considerandolo una rappresentazione simbolica legata a culti e misticismi.
Il fenomeno del vivere in rupe si manifesta non solo durante la Preistoria e il Medioevo, ma anche in periodi più tardi come le fasi post-medievali, nelle quali, benché il vivere in grotta fosse divenuto sempre più marginale, continuò a esistere, associandosi in alcuni casi alle architetture di sottrazione e a quelle realizzate in elevato.
Con il passare del tempo l’ambito sotterraneo ha assolto a funzioni sempre più complesse ed articolate, che hanno portato alla creazione di vere e proprie città scavate nella roccia e complessi monastici che ben poco avevano da invidiare alle architetture costruite in elevato.
Nel volume l’autore descrive come si è sviluppato questo fenomeno all’interno di alcuni insediamenti facenti parte di un comprensorio territoriale fortemente caratterizzato dal punto di vista archeologico.
La speleologia in cavità artificiali, indagando le strutture sotterranee artificiali di interesse storico ed archeologico, riserva particolare interesse per gli insediamenti rupestri perché in tali ambiti appaiono ancora evidenti le tecniche con le quali l’uomo ha superato le innumerevoli difficoltà di adattamento (ad esempio scarsità di acqua, necessità di difendersi dagli attacchi nemici, verticalità dell’insediamento che non favoriva le colture, ecc.).
Anche per questo le Associazioni speleologiche di riferimento nello studio delle cavità artificiali hanno accolto con grande interesse il lavoro di Stefano Calò, che ha ottenuto i patrocini da: Società Speleologica Italiana – Commissione Nazionale Cavità Artificiali, Federazione Hypogea (A.S.S.O., Egeria Centro Ricerche Sotterranee e Roma Sotterranea), Federazione Speleologica Pugliese.
Il volume è edito dalla Arbor Sapientiae Editore S.r.l., Roma, www.arborsapientiae.com
ISBN: 978-88-97805-40-3
Link diretto al sito per l’acquisto online
Bologna: esplorato un nuovo tratto del cunicolo della Fontana del Nettuno
Dopo un lavoro durato diversi mesi, teso ad ottenere tutte le autorizzazioni e i permessi necessari per accedere al sottosuolo cittadino, sabato 18 luglio è scattata finalmente l’operazione: scoperchiati alcuni tombini identificati come “fognatura” posti lungo l’asse della via D’Azeglio il GSB-USB ha provveduto ad esplorare, rilevare e documentare un ulteriore lungo tratto dell’antico cunicolo della Fontana del Nettuno.
Un breve sunto storico
I tentativi eseguiti nel Medioevo e in età rinascimentale per dotare il centro di Bologna di buona acqua potabile come salubre alternativa al prelievo dai numerosi pozzi disseminati nei caseggiati della città sono stati molteplici.
Risulta dalle cronache che nel 1393 il Comune face aprire l’Acquedotto maestro, ossia l’antico acquedotto romano, che si aggirava sotto i colli arrivando in prossimità della città. L’intenzione era certamente quella di usufruire dell’acqua drenata da questo cunicolo nel suo percorso sotterraneo (un quantitativo in realtà modesto) e di innestarvi quella captata dalla Fonte Remonda, assai più copiosa, scaturente nel colle di San Michele in Bosco, l’antico monastero oggi sede dell’Istituto Ortopedico Rizzoli.
Altri lavori sono documentati nel 1433: il recapito delle acque è una prima fontana collocata nei pressi dell’Ospedale della Morte, corrispondente all’area dell’attuale Museo Civico Archeologico, ossia sul lato orientale di Piazza Maggiore.
Nel 1473 viene costruita un’altra fontana, in sostituzione della precedente, collocata stavolta nei pressi del Palazzo del Podestà, nell’angolo opposto della piazza, all’incirca dove oggi si erge quella del Nettuno. Questa fontana ebbe però vita breve: venne demolita nel 1483 e i marmi di cui era composta furono donati all’erigenda Basilica di S. Petronio.
Nel 1492 Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna, si appropria quindi dell’acqua della Remonda e la fa giungere, attraverso un lungo condotto sotterraneo, fino al suo sontuoso palazzo, in strada San Donato.
Nel 1506 Giulio II conquista Bologna, annettendola allo Stato della Chiesa. L’anno successivo, di fronte ai tentativi bentivoleschi di reimpossessarsi della città, il legato pontificio e le famiglie avversarie dei Bentivoglio manovrarono l’ira popolare indirizzandola alla distruzione e al saccheggio del loro grande palazzo in strada San Donato, fatto che lascia ancora un segno nella toponomastica attuale, nei Giardini del Guasto, l’area su cui sorge il Teatro Comunale. Dopo questo episodio dovranno passare diversi anni perché venga ripristinato il funzionamento idrico verso la città.
Sarà solo nel 1520 che il vicelegato pontificio promuoverà il restauro dei condotti e della Fonte Remonda, realizzando pertanto per la terza volta una fontana nel centro di Bologna.
La sistemazione definitiva dell’intero sistema idraulico si data però al 1563, quando Pio IV affida tale compito all’architetto Tommaso Laureti. Questi procede alla risistemazione della Remonda, apre un ulteriore tratto del cunicolo romano e realizza una nuova grande opera di captazione sotterranea, la Conserva di Valverde (nota popolarmente come Bagni di Mario), situata nel colle immediatamente a ovest di S. Michele in Bosco.
Le acque raccolte da Valverde scendono attraverso un pozzo romano nel sottostante antico acquedotto. Seguono quindi il tracciato del cunicolo romano nel suo dirigersi verso la città, finché nei pressi della Chiesa dell’Annunziata una cisterna (denominata il Vascello comune delle acque) le raccoglie assieme a quelle provenienti dalla Remonda. Da qui sono immesse all’interno di una tubazione (originariamente in orcioli di terracotta) che, alloggiata sopra un muretto, arriva attraverso un cunicolo lungo oltre 1 km sotto la Fontana del Nettuno, realizzata proprio in quegli anni come mostra monumentale, carica di significati fortemente simbolici.
Il viaggio delle acque non finiva però lì: quelle di sopravanzo erano inviate all’interno del Palazzo Comunale, sede del legato pontificio. Sul lato nord del palazzo, affacciato alla via Ugo Bassi, è infatti presente un’altra grande fontana, detta la Fontana Vecchia: da qui gli acquaioli potevano prelevare l’acqua per rivenderla nel resto della città, mentre ciò che avanzava era utilizzato per i giardini interni al Palazzo e per la guarnigione dei cavalleggeri papali.
La struttura acquedottistica così delineata rimarrà sostanzialmente tale per oltre tre secoli, con ovvi interventi manutentivi e migliorativi.
Con la completa riattivazione dell’acquedotto romano, avvenuta nel 1881, le opere idrauliche tardomedievali e rinascimentali verranno escluse dal rinnovato sistema idrico e subiranno un progressivo abbandono.
Le ricerche attuali
È in questo quadro che si attua il nostro tentativo di indagare nuovamente queste opere, al fine di riacquisire una loro compiuta conoscenza e chiarire – per quanto possibile – i punti che rimangono ancora oscuri, particolarmente per ciò che attiene il succedersi delle fasi costruttive che, come si è visto, sono state spesso discontinue nel tempo e non sempre univoche.
Il lavoro svolto fra il 2004 e il 2010 sull’acquedotto romano di Bologna aveva fornito l’occasione di stendere nuovi rilievi della Fonte Remonda e di Valverde (quelli più “recenti” risalivano alla fine del Seicento – inizi del Settecento!). Avevamo inoltre affrontato per la prima volta i cunicoli che afferiscono alla cisterna dell’Annunziata (declassati a sistema fognario), nonché il tratto terminale di quello che giunge sotto al Nettuno.
Entrati dai locali di Sala Borsa, nel Palazzo Comunale, e arrivati alla base della Fontana, si possono percorrere verso monte circa 260 m di cunicolo sotto il tratto pedonale di Via D’Azeglio, fino a superare di poco la Piazza dei Celestini, dove un muro di tamponamento sbarra il cammino: qui si era arrestata la nostra esplorazione di quegli anni.
Il tentativo di procedere dalla cisterna dell’Annunziata verso valle non aveva sortito migliori risultati: il cunicolo che le vecchie mappe indicavano in uscita dall’angolo nord-est è stato infatti murato, con ogni probabilità durante la sistemazione a fognatura.
Restava pertanto insoluto il quesito sull’effettiva persistenza e sulle eventuali condizioni del tratto di cunicolo intermedio fra quei due estremi.
Eccoci pertanto giunti a questo caldo mattino di metà luglio, quando una dozzina di speleologi si è presentata di buon ora in pieno centro città, con in mano tutti i permessi giusti per sollevare i tombini che in precedenza erano stati individuati come potenziali accessi al cunicolo. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto (erano effettivamente afferenti alla rete fognaria), finalmente si scoperchia quello giusto (all’incrocio con via Farini) e si può procedere all’agognata esplorazione.
Nonostante le condizioni ambientali non fossero delle migliori, a causa del caldo e dell’umidità elevata, è stato possibile percorrere verso monte altri 400 m, giungendo all’incirca all’altezza di via Solferino.
Qui un ulteriore muro di tamponamento rappresenta per ora il limite su cui ci siamo arrestati, lasciando così incognito un tratto di circa 360 m, che consentirebbe di connettersi con la già citata cisterna dell’Annunziata.
Il collegamento con lo spezzone più a valle del cunicolo (quello terminante sotto la Fontana) è stato invece compiuto percorrendo un breve tratto fognario di quasi 50 m, bypassando in tal modo i tamponamenti che avevano bloccato la precedente esplorazione. In questa sezione, infatti, la rete fognaria, risalente a fine Ottocento, è stata impostata sullo stesso asse del cunicolo cinquecentesco, ma ad una quota inferiore, ed è quindi raggiungibile scendendo alcuni dei pozzi che insistono sullo stesso tracciato.
Inutile dire come tutta l’operazione abbia destato l’interesse dei numerosi passanti e turisti, particolarmente di quelli che – all’improvviso – si sono visti aprire ai piedi del Nettuno un tombino, da cui sono prontamente sbucati fuori alcuni speleologi. È stata ovviamente anche l’occasione per spiegare, ai tanti che si fermavano incuriositi a porre domande, il significato di questa nostra attività, nonché raccontare la storia delle acque cittadine e i suoi variegati percorsi sotterranei.
Il prossimo appuntamento, per continuare le ricerche, è già programmato per il 6 settembre.
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